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giovedì 22 novembre 2012

Foligno - Firenze, solo andata.



Firenze 2012

Il treno diretto A121 è una lurida bagnarola che scorrazza sui binari della tratta Foligno – Firenze.
Più simile a un cassonetto dei rifiuti che a un treno, il mezzo è obbligato a fermarsi in alcune sciagurate e anonime cittadine nell'area Valdarno.
Ogni mattina, centinaia di studenti, di precari, di incazzati, siedono assonnati nei vagoni cercando di trovare uno spazio dignitoso nel rituale tetris umano al quale i passeggeri più eclettici hanno risposto con inventiva: l'ing. Facchetti ha imparato a dormire in piedi, come i cavalli; la signora Giuliani si sdraia in alto, negli scompartimenti per le valigie; il Sig. Cassola, giornalaio di piazza Anselmi in Firenze, si lega al tetto del treno ogni mattina presso stazione di Bucine.
Nonostante i ritardi, i soprusi e gli innumerevoli litigi, tale microcosmo umano si è adattato, è riuscito nel tempo a trovare un proprio equilibrio a base di iniezioni mattutine di pazienza, moderato altruismo e indifferenza.
La tregua dei disgraziati fu rotta una mattina di novembre alla stazione di Figline Valdarno quando, sulla banchina della stazione, si presentò un vecchio barbone puzzolente e alcolizzato.
L'uomo, basso e grasso, salì lentamente sul convoglio borbottando qualcosa. Si stiracchiò, chiuse la patta dei pantaloni lerci e cercò di tastare il culo alla biondina davanti a sé. Poi cominciò ad aggirarsi incontrollato tra i vagoni chiedendo l'elemosina: una lattina di chinotto in mano e un cappello unto nell'altra, esibendo clamorosi peti ogni volta gli sciagurati passeggeri non gli allungassero qualche moneta.
Dopo quattro vagoni, il petomane entrò nella affollata carrozza 15 dove all'altra estremità del vagone scorse il controllore, un quarantenne di Caltanissetta alto e brizzolato da poco detentore della corona dei pesi medi interregionali.
I due si fissarono a lungo da lontano.
Il barbone si fermò di scatto e rapido come una faina raccolse le monete dal cappello per metterle in tasca. Il controllore timbrò con forza un biglietto, accennando un sadico sorriso. Poi si avvicinò al vecchio con lunghe falcate e disse: «Buongiorno! Lei ha il biglietto?»
Il barone non mosse un muscolo e, muto come un pesce, fissò l'avversario dritto negli occhi.
«Le ho chiesto se ha il biglietto!»  gridò il controllore avanzando qualche passo e fissando a sua volta il petomane.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il barbone portò il chinotto alla bocca, ne tracannò una buona metà e si lasciò andare a un rutto clamoroso in faccia al controllore.
Nel frattempo ci fu una brusca frenata del treno, talmente forte da far cadere una ventiquattrore dal ripiano in alto, proprio accanto a dove dormiva la signora Giuliani.
La borsa centrò in pieno la testa del barbone facendolo cadere steso a terra.
Una studentessa di infermieristica ne approfittò per schiacciargli vilmente la mano col tacco in acciaio.
«Ahi!Ahi!, che male!»  urlò il vecchio.
«Matalo ahora! Matalo ahora»  urlò un muratore colombiano.
In un attimo l'intero vagone si riversò sul petomane con calci, schiaffi e insulti.
Una pensionata gli tirava i capelli, un mutilato gli sputò in faccia mentre il Signor Alessi, che per prendere il treno si svegliava ogni mattina alle 3.45 del mattino, gli tirò un violento calcio al basso ventre.
Dopo un quarto d'ora di soprusi e violenze il capitano Giarelli, pensionato di marina, si mise in piedi su una poltrona, fece un respiro e urlò: «Buttatelo fuori bordo!»
Il barbone fu gettato con veemenza e disprezzo sulla banchina della stazione di Campo di Marte sotto scroscianti applausi dell'intero convoglio.
Quando il vecchio si rialzò, un bimbo, sorretto dal padre al finestrino, alzò con il dito medio e gridò: «Baffanculo stlonzo!»

venerdì 20 luglio 2012

Era nuda alla finestra.


Leith Walk, Edimburgo 2003

"D'inverno aspetto sempre la notte al freddo più gelido per vedere il mio respiro volare alto. Bianco, breve, fuggevole.
Come per il giorno le nuvole, fantastico le sue forme mentre libero si distacca da me, lo seguo per fissarlo sullo sfondo del cielo nero.
Ed io che non posso volare, al respiro affido le mie speranze; l'illusione di aver dato vita a un messaggero, e un altro, e un altro ancora: ognuno con un pensiero, ognuno imperfetto, ognuno con l'ignoto destino che porta con sè la paura e il coraggio.
Nascono, e si aggrappano a ogni idea, la liberano dalla carne, volano via. Danzano come amanti per poi posarsi sulle cose, trascinando quelle idee, quella passione, quell'attimo inconsapevole che si perde, e vive solo nel ricordo di un respiro al quale affido ogni volta me stessa".

mercoledì 11 luglio 2012

Il gatto che non c'è.



Edimburgo 2000

El Patio è un piccolo ristorante italiano in Hanover Street nel centro di Edimburgo.
I proprietari, una coppia di emigrati napoletani, lo gestisce con amore da oltre 30 anni.
I due paiono usciti da una fiaba: lei, manager piccola ma agguerrita concede talvolta un profilo materno; lui, lo chef del posto,basso e tozzo, era sopravvissuto 40 anni nel Regno Unito grazie alla proverbiale gestualità italiana e una lingua a metà tra l’ inglese del porto e il dialetto di Pozzuoli.
Ma i due gnomi custodivano un segreto celato tra gli scaffali del sottotetto. Lì, tra damigiane di vino e casse di pomodori, era da tempo rinchiuso un gatto senza nome dal pelo maculato e lungo, schivo e dal brutto carattere.
Tale felino, nato e cresciuto dentro quel magazzino, aveva il compito di cacciare i topi, ghiotti del cibo raccolto nella dispensa. Dopo anni in quel sottoscala il gatto era quasi diventato cieco.
La poca libertà concessagli era di vagare, il martedì e il giovedì, al di fuori del sottotetto, scendendo giù fino al salone del ristorante.
Una sera un distratto cameriere lasciò appena accostata la piccola finestra accanto alla macchina del caffè.
Il felino si fermò a lungo davanti all’apertura contemplando l’esterno, annusando la fredda aria d’inverno.
Con un balzo elegante uscì dalla finestra per trovarsi in mezzo al largo marciapiede colmo di gelida neve. Si guardò attorno accennando un tenue miagolio. Fece qualche balzo in avanti tra la neve, ci si rotolò dentro e scomparve per sempre.

mercoledì 13 giugno 2012

Tu lo conosci Cuccureddu?




Australia 2006

«Vedi bello...»
(Ma bello a chi...!)
«...dobbiamo proseguire verso quelle rocce là dietro, passato il fiume troveremo il rifugio di Chambell Creek dove avevo promesso di portarvi ieri».
«Veramente, Signor Cuccureddu, ha passato l'ultima settimana dicendo che saremmo arrivati presto. Abbiamo girato in tondo per 3 giorni, se non fosse stato per quei due ranger noi...»
«Ehm..., sì, beh ma... sono stato ingannato! L'orsa polare si è spostata, d'altronde siamo ad aprile!
«È vero, c' è il ponte di Pasqua...!»

Conobbi Cuccudeddu assieme a un gruppo di folli che stava organizzando un viaggio fai-da-te nell' entroterra australiano. Io ed altri, colti in un momento di debolezza ci aggregammo alla brigata.
Dopo 40 minuti di assolato deserto, Cuccureddu saltò su una roccia e si autoproclamò "Capo divino dell'universo" prendendo il controllo della sciagurata comitiva.
Dopo 2 giorni stava sul cazzo a tutti. Sbraitava, soffriva di meteorismo, manie persecutorie e narcisismo acuto, tanto che, in una delle poche soste alla marcia forzata intrapresa, riuscì a convincere con l' inganno due sposini di Cremona a costruirgli una portantina che alcuni sventurati portarono per miglia e miglia.
Sempre in cima alla colonna umana nel deserto, Cuccureddu venne presto soprannominato "il bandiera" a causa di un orrendo riporto svolazzante.
Il quarto giorno perdemmo le tracce di due pensionati di Campobasso.
Il quinto, l' intera comitiva INPS era perduta.
Deciso ad arrivare a Chambell Creek nei tempi prefissati, Cuccureddu ci aveva fatto passare attraverso la Valle della morte, luogo ove neppure gli aborigeni osano addentrarsi. Lì, lasciammo Mario Scotti, bidello di scuola elementare che ai bordi della valle venne rapito dall'ultima tribù di cannibali del continente.
Un aereo con soli 5 posti ci aspettava oltre la duna. Ignobili ma felici, lasciammo il "Capo divino" al suo destino. Durante il decollo, i più generosi, lanciarono dal finestrino alcune borracce.   

martedì 5 giugno 2012

La tigre



Liverpool 2003

Tra la folla umana visibile da dietro il bancone del pub di Ferry Road, quella creatura mi colpì immediatamente per la magrezza del viso e i lunghi rasta calanti sulla carnagione olivastra.
Lo incontrai per la prima volta d'autunno, sotto il tendone dei tavolini esterni del bar mentre, seduto, si riparava dalla pioggia e fissava la strada.
Gli chiesi se gradiva qualche bevanda. Si girò con la calma di una testuggine e mi fece segno di porgergli del fuoco. Accese una canna lunga un metro, sorrise, e continuò a guardare la pioggia.
Entrò nel locale un'ora dopo. Stordito come un batacchio, si avvicinò al bancone in cerca del titolare con il quale si intrattenne una buona mezz'ora. Avevamo trovato il Dj che cercavamo.

Sabato, ore 20.30: la testuggine entra nel locale col sorriso stampato in faccia, occhi rossi fuoco e la sua attrezzatura per suonare presentandosi come Dj Tiger-Tiger. L'uomo viene gentilmente invitato a finire di fumare la sua erba fuori dal locale.
Un'ora dopo, Tiger riesce a far girare i primi dischi che in realtà sono cd di seconda mano vilmente sottratti al negozio del Convento della Carità in fondo alla strada.
Il Dj non mosse un dito per ore: una volta terminato il cd lo sostituiva con un altro finché, alla vista di una combriccola italica di ebrei ortodossi al tavolo 7, ebbe la scellerata idea di inserire un disco di musica italiana degli anni '30 contenete "Giovinezza" e "Faccetta nera".
Buttato fuori dal locale a calci insieme alla sua attrezzatura, la testuggine si girò lentamente, si infilò una canna in bocca e fece segno di accendere.

mercoledì 16 maggio 2012

Parole al bar. Questa non è semplicità.



Bratislava 2008

«Bevi alla mia salute amico, oggi offro io! Non ti ho visto spesso in questo bar! Che fai nella vita?»
«Io faccio mattoni, ho fatto i mattoni più belli del mondo per 10 anni. Erano duri e resistenti, perfetti per le case di campagna.
Avevano un colore arancione chiaro ma talvolta uscivano dal forno più scuri, non so perchè! Altre volte erano lisci, altre volte porosi, così si sfaldavano e dovevamo buttarne via a decine, non so perchè.
E adesso mi chiedono di fare delle tegole, delle tegole capisci? A me, a me che per dieci anni ho fatto mattoni, i più bei mattoni del mondo».
«Beh, se te lo hanno chiesto è perchè sanno che sei bravo nel tuo lavoro: sai modellare e cuocere la terra, conosci cosa usavano prima i tuoi nonni e i tuoi avi, sai cosa rende porosa o meno l'argilla che usi, conosci perfettamente quale temperatura usare per cuocere i mattoni,come venderli e  come far crescere i contorni di una casa».
«...No, io non so niente di tutto questo!»
«Ma...allora cosa hai fatto tutto questo tempo?»
«...Mattoni!»

martedì 8 maggio 2012

George.



Edimburgo 2007

George è un ragazzo proveniente da Aberdeen, ridente cittadina della costa est scozzese.
Di corporatura robusta, capelli chiari e gambe a X, portava con invidiabile nonchalanse una perenne pancetta calante.
Il nonno imprenditore possedeva i diritti a livello mondiale del brevetto dell' olio di palma e campava di rendita. Il nipote era cuoco nei peggiori pub di Edimburgo.
Dipendente dall' uso di alcol, MDMA e pasticche, George si vantava di aver bevuto per errore un' itera confezione di Popper durante un rave a Manchester, subendo una prognosi di soli 2 giorni e una lavanda gastrica che disse di voler un giorno ripetere.
Gli effetti della merda che si gettava in corpo subivano una sorta di cortocircuito con il suo carattere goliardico, socievole, talvolta più ingenuo di quanto eravamo noi stessi.
Tornato dai peggiori festini della Scozia aveva l' abitudine di ballare assieme allo scopettone ancora umido nella cucina del ristorante ascoltando musica metal.
Ancora oggi, alcuni tra i più vili camerieri rimpiangono di non averlo filmato.
Nel periodo in cui abbiamo lavorato insieme, uscimmo molte volte a far baldoria per le strade della capitale scozzese dove il folle ebbe l' occasione di:
- Abbracciare un enorme cactus posto all' ingresso di un locale.
- Saltare dal secondo piano di un palazzo rompendosi il femore.
- Procurarsi sesso orale da una ragazza brasiliana nell'affollato bus numero 15 delle 8.30 del mattino.
- Bere più volte, al termine del turno di lavoro, 8 Peroni: tanto da non ricevere alcun salario alla fine della settimana ma dover essere lui, a pagare il principale.
- Diventare bisessuale.

L' ultima volta che lo vidi aveva tatuata una scritta alla base del collo. Scordai alla svelta la frase.
La madre, santa donna sempre presente, evitava di portarlo alle udienze per il divorzio con il padre, gentiluomo che abbandonò entrambi una volta escluso dall' eredità testamentaria del nonno.

lunedì 30 aprile 2012

La mantide



Madrid 2002

Ines era una creatura procace dai capelli color grano, gli occhi di ghiaccio e un culo di marmo.
Ella osteggiava a piacere sicurezza e ingenuità, chiunque di noi avrebbe desiderato possederla per ore.
Lo sfortunato protagonista fu Jorge: 1 e 90, palestrato e moro. Giocatore di rugby, usava indossare un pugno di cotone nelle mutande.
Il fatto cominciò in un locale del centro quando un incosciente giovane presentò la mantide alla sua preda.
In breve tempo, raccontando le più grandi boiate abbia mai sentito, Ines divenne regina incontrastata dell' ingenua realtà del palestrato.
Sotto soffocanti maratone di sesso, unite a una bugiarda e vile adorazione per il suo compagno, Ines mostrò con piacere le sua vacanze pagate ad Ibiza, Amsterdam e Marocco, i suoi nuovi abiti firmati, la Ferrari presa in affitto per un mese e 2 orribili volpini omosessuali.
Dopo poche settimane, quello che all' inizio era solo un sospetto si concretizzò in una piccola tragedia umana.
Il palestrato era diventato un ignobile individuo, un inetto a vivere: vigliacco, ingeneroso, costantemente preso dal sospetto, noioso e pedante. Una larva umana.
La parassita partì dall' aeroporto di Madrid una mattina di Marzo col volo delle 9.15 diretto a Caracas, dove ad attenderla era un manager finanziario cinquantenne.
A distanza di tempo, voci incontrollate raccontavano che facesse la Barista a Bogotà, la modella a New York, la suora a Calcutta.
Alcuni dei frustrati spasimanti, rimasti a bocca asciutta, giuravano di averla riconosciuta in più di un film porno.
Jorge ha ripreso gli allenamenti e non compra più cotone.

domenica 29 aprile 2012

Lo strano marinaio



Marsiglia 2001

Oltre alle ricche e lussuose coste di Cannes, Saint Tropez e Perpignan, il sud della Francia offre una miriade di piccole e splendide spiaggette silenziose e riparate, piccoli riflessi di un Eden perduto affacciate sul mare.
Sulla spiaggia pulita e uniforme pacifici turisti osservano una piccola barca a remi, relitto di tempi addietro, governata da due giovani del luogo intenti a calare una rete. La barca ondeggia vicino agli scogli, proprio sotto un enorme promontorio a picco sul mare con la base in pietra e il corpo in nuda terra.
Tra lo sciacquettio delle onde sulla roccia si ode un suono contorto e sgraziato.
È un cinghiale bruno e sbavante che grugnisce dal cucuzzolo dello sperone agitando lo zoccolo nero. I due marinai gli urlano contro in segno di sfida. A un tratto, la terra sotto le zampe del porco frana fragorosamente attirando l'attenzione dell'intera spiaggia.
Il cinghiale ruzzola giù per il pendio urtando un enorme masso che lo spinge nei flutti accanto alla barca.
I due giovani, assistito alla scena, remano quei pochi metri e cominciano a issare la rete carica del porco, che si agita e geme come un dannato.
I bagnanti hanno un solo luogo dove guadare. Il porco, issato in barca, è preso a bastonate sotto il fragoroso applauso degli ignobili turisti.
Poi, con uno scatto repentino si erge, disarciona uno dei giovani, spaventa l'altro: entrambi cadono in acqua e a fatica raggiungono stremati la riva.
Girandosi verso il mare, col tramonto in faccia, osservano il cinghiale allontanarsi in barca, grugnendo e agitando lo zoccolo nero, alla deriva tra i flutti.

mercoledì 25 aprile 2012

A special orange juice please!



Manchester 2006

Peter è l' alcolista più fantasioso che abbia mai incontrato. Dai capelli bianchi e gracile all' aspetto dimostrava 70 anni circa, ben 10 in più di quanto realmente avesse.
Tale genio diventò famoso nel quartiere dopo la festa di San Patrizio del 2004 quando fu scoperto a sodomizzare una pensionata americana nella toilette delle signore in un pub di Albert place.
Di natura socievole e pacata, moderato nei toni, indossava orrende camicie hawaiane anche a novembre.
Secondo la legislazione del Regno Unito, non è consentito somministrare alcolici prima delle ore 12.00: Peter si acquattava regolarmente nei dintorni del pub già alle 9.30, osservando furtivo i movimenti dello staff come un gatto fa la posa a un nido di merlo.
"A special orange juice please!"  - chiedeva Peter ogni mezzora: frase che gli permetteva di sorridere in faccia all' alcol che si ficcava in corpo ogni giorno e di nascondere alla sua ragazza il proprio alcolismo.
Sì, Peter era fidanzato: legato da tempo a una procace signora che invano cercava di farlo smettere di bere.
In estate, seduto ai tavolini nel cortile esterno del bar, parlava da solo: talvolta di fronte all' edera del muro, talvolta guardando sotto il tavolo.
Alcuni colleghi, vili carogne, si sgozzavano l' un l' altro per lavorare nel turno serale, quando ormai il pensionato alcolista, ubriaco fradicio, elargiva copiose mance a ogni suo passaggio davanti bancone.
Non ho mai sentito Peter ruttare, lamentarsi della bassa pensione, fare commenti poco delicati a una signora o non condividere una battuta con altri clienti del pub.
Non so perché bevesse come un' infelice.

domenica 25 marzo 2012

Bella vita compagno!




Edimburgo 2004

Vedere un film in lingua originale concentra l'attenzione alle movenze degli attori, al loro accento, alla musicalità di una lingua sconosciuta, rendendo il tutto un mix di teatro, cabaret e parodia, che svela talvolta alcuni trucchi del cinema.
Usciti dalla multisala incontrammo un gruppo di italiani con cui scambiammo due chiacchere.
Tra i connazionali, Giorgio scorse Sara, con la quale flirtò una buona mezzora.
Quella sera fummo loro ospiti a cena.
Affamati come iene per la misera dieta strappata con salari da fame, ingurgitammo una a una le portate, non mancando di complimenti al cuoco.
L'appartamento era ben tenuto, pieno di riferimenti politici e culturali.
Il poster di Alberto Sordi era il mio preferito, ma gli inquilini spostarono in discorso sul piano politico.
Parlarono a ruota di: classismo sociale, sfruttamento della manodopera, lotte sindacali, resistenza partigiana italiana, il sacco di Roma, il tumulto dei Ciompi del 1378.
Il mio coinquilino perse i sensi dopo il 1630.
Uno di loro mostrava con orgoglio delle foto che lo ritraevano lanciare delle bombe molotov alle vetrate di un ristorante Mac Donald. Domandammo con sorriso: "Ma se dai fuoco a un ristorante, non c'è un' assicurazione che paga i danni"? Il Rambo di Segrate attaccò una risposta di 50 minuti.
Stremati, salutammo i connazionali e ci avviammo a prendere l'autobus: nell'attesa fumammo una sigaretta davanti a una grossa macchina sportiva.
"Spostatevi di lì - gridò una signora - quella è la macchina dei signori Menucci. Vi possono vedere, stanno qui al primo piano".
"Ma cosa dice signora. Quello è un appartamento di studenti italiani"!
"Ma quali studenti! Sono i proprietari del palazzo! Io sono la loro donna delle pulizie"!

domenica 18 marzo 2012

Porci con le ali.



Tra Londra e Atene 2003.

Pensavate fosse una storia di sesso? Credevate di leggere un racconto osè vero?
Libidinosi!
Questa è la storia di un maiale, un maiale vero. Un porcello di circa 60 chili, rosa a macchie nere, con una espressione simpatica e la classica coda a ricciolo.
Mike, questo il nome del suino, si imbarcò sul volo Londra - Atene una mattina di settembre assieme al suo proprietario, un vecchio e grasso gallese coperto di tatuaggi, il quale mostrò, prima alla sicurezza dell' aeroporto, poi al capitano e a noi equipaggio, un certificato medico che lo abilitava a viaggiare in aereo accanto al suo maiale, unico e solo rimedio contro lo stress e gli attacchi di panico del vecchio.
Portammo le cinture di sicurezza adatte per l'occasione e legammo quel grasso maiale come un insaccato.
Sciogliemmo tutto. Avevamo legato il signore gallese.
Il volo procedette come da routine, talvolta scherzando con i passeggeri: "Scusi stewart, mi sa dire che isola è quella?" "È la Giamaica signore."

Giunti a sorvolare la Croazia ci fu un piccolo ma infido vuoto d'aria: l'hostess olandese di fronte a me fu schizzata in aria. Craniata mostruosa sulla fusoliera seguita da imprecazioni in più lingue.
Il maiale si libera, guarda i passeggeri, grugnisce e comincia a correre su e giù per il corridorio dell'aereo.
Secondo vuoto d'aria: il porco mette le ali e si schianta contro la cabina di pilotaggio.
Panico a bordo. Due passeggeri vomitano, due cominciano a pregare, un coppia di italiani pomicia al posto 32: il maiale è a terra privo di sensi.

Uno dei passeggeri consigliò di fare al suino una respirazione bocca a bocca: il folle fu fragorosamente mandato a cagare dall'intero equipaggio in quattro lingue diverse.
Mike dormì fino all'arrivo nella capitale greca.
Ad Atene, il rarissimo pappagallo sudamericano, compagno della passeggera inglese salita per il viaggio di ritorno, fu vilmente soppresso con del veleno da Frida, hostess tedesca di Norimberga.
Da allora, adoro il bacon.

sabato 10 marzo 2012

Mi piaci perchè mi fai ridere.

Oslo 2011

Si era attaccata con le unghie e con i denti al primo posto di lavoro che aveva trovato. Ottenuta la posizione desiderata non si era seduta, ma immedesimata in quella figura, nel suo ruolo, nelle sue responsabilità. Lo sfarzo che di rilesso la avvolgeva era lusso accecante per gli invidiosi personaggi a lei vicini.
Nonostante ricercasse un linguaggio forbito da esibire ai sottoposti colleghi, non era una persona curiosa: la superficialità che esprimeva era usata come controllo, era la soglia oltre la quale si sentiva insidiata.
La sua vita rimbalzava tra le mura domestiche, il lavoro, e lo storico fidanzato con il quale era cresciuta: non un amante, non un complice, piuttosto un amico abituale.
Era concentrata mentre parlava con i clienti, rigida quando si intratteneva con i colleghi.
La sua risata non era spavalda, profonda, fragorosa, ma si perdeva in un volto che la rigettava come segno di stupida debolezza.
Non ricordo il suo nome.

mercoledì 7 marzo 2012

The Brass Monkey


Edimburgo 2005

«Si, mi piace fumare il narghilè».
«Veramente è la prima volta che lo faccio. È elegante vero?»
«Si, oggi avevo il turno di mattina; stacco alle due e mezza, sicchè vengo qui a trastullarmi».
«Trastullarmi, si...intendo: svagarmi, intrattenermi».
«No guarda, la birra va presa al bancone, qui non servono ai tavoli...non ce ne sono».
«Hanno portato la lista; tra poco proiettano un film, hai qualche idea?»
«Si, sulla lista sono appuntati i film che hanno in dvd; la gente si mette d'accordo e lo proiettano laggiù».
«Ah ecco. Comincia».


martedì 28 febbraio 2012

Nano per finta.



Madrid 2010

Lavorare rinchiusi per ore nell’Ufficio Acquisti di una grande multinazionale è noioso, stressante, farcito di mostruose procedure burocratiche e invidie tra colleghi.
Nonostante ciò, tale microcosmo può essere mitigato dalla presenza di una curiosa realtà umana: frizzante, sperimentale e, nel nostro caso, calata nel mistero.
Gabriele era un ragazzo appena 21enne timido ma sorridente: quasi calvo, cicciottello, vestiva elegante ed era famoso per rubare i posacenere dell’azienda . Era alto 1 metro e 50: lo chiamavamo Carnera.
Deriso per l’accento provinciale e le vomitevoli barzellette, il nano di Jesi rappresentava il punto più basso dell’ufficio nella  gerarchia umana.
Ciò che rese Gabriele misterioso e invidiato dai colleghi, furono le numerose donne che, per mesi, lo attesero in macchina davanti ai cancelli della ditta alla fine del turno di lavoro, spesso agitando un foulard.
Coloro che il nano chiamava: “amiche”, non avevano una specifica tipologia: signore eleganti, studentesse sportive, sconosciute straniere, la direttrice del reparto vendite.
Dopo mesi di ossessivi pedinamenti e deplorevoli telefonate anonime, alcuni dei suoi più frustrati colleghi, tra i quali Paolo “il bello” e Igor “il lupo”, giocarono la loro ultima carta chiamando Olga, nota troia del luogo, per organizzare un vile incontro con Carnera e carpirne i segreti. La donna e il nano fuggirono alle Baleari per 3 giorni.  
Il mistero di Carnera fu svelato dopo l’annuale partita di calcetto tra l’Ufficio Acquisti e il Centralino quando, nelle docce, un fragoroso applauso distrusse per sempre l’autostima dei suoi ignobili rivali.

venerdì 24 febbraio 2012

Italiani brava gente.



Edimburgo 2003

Il caffè-ristorante Colosseo è un tranquillo locale all’angolo di Princes Street con vista sul castello di Edimburgo.
Frequentato da famiglie, turisti e uomini d’affari, Colosseo offre “specialità italiane” a colazione, pranzo e cena, servite da camerieri e baristi rigorosamente provenienti dal Belpaese.
Ora, dietro a questo sipario di lustrini e sorrisi talvolta possono affiorare situazioni, parole e cifre che svelano alcuni misteri nascosti sotto il tendone.
Molti di noi camerieri erano perplessi nel capire come bottiglie di vino comprato a 15 centesimi fossero rivendute a 30 sterline, oppure il perché non ci fosse alcuna etichetta di provenienza o certificazione sulla carne e sul pesce. Eravamo perplessi nel comprendere i loschi motivi che portavano i macchinari del bar, compresa la lavastoviglie e il registratore di cassa, seppur funzionanti, a essere cambiati ogni due mesi.
Alcuni giovani camerieri, che con sprezzo del pericolo si domandavano come mai dopo 3 mesi non avessero ancora ricevuto alcuna busta paga, venivano marchiati dai più anziani come “stronzi”, “rompicoglioni” o “papponi rotti in culo”.

Un giorno, in orario di chiusura, si presentò un uomo intorno ai quarant’anni.
Entrò facendo rumore: era calvo, dal fisico palestrato e la faccia a cui non fare domande.
Si presentò come Claudio, amico di Franco il proprietario, e chiese se volevamo comprare un forno a microonde. Gli rispondemmo di non essere interessati.
In seguito ci propose l'acquisto di un frigorifero, una autoradio, un televisore.
Di fronte alle nostre risposte negative, chiese se volevamo comprare una pistola.
Non se ne andò arrabbiato, ma stupito per non aver ottenuto attenzione.


lunedì 20 febbraio 2012

Un posto al sole


Praga 2002


Salvatore era un gran cazzaro, un buon oratore e donava solo per pietà.
Il suo aspetto andava oltre la gracilità del corpo: pareva come consumato da chissà quale diavolo.
L'arzillo palermitano aveva il potere di far arrivare a lavoro i colleghi con una buona mezz'ora d'anticipo, spaventati dalla più violenta arma batteriologica inventata dal genere umano: i suoi piedi.
Cameriere dall'eta di 16 anni aveva passato gli ultimi 20 a cercar fortuna in lungo e largo per l'Italia.
L'unica scena cui aveva partecipato con il ruolo di comparsa nella soap opera "Un posto al sole" era stata tagliata, ma fu accorto nel precisare che lo avevano ugualmente pagato.
Non lo vidi mai toccare una birra, in compenso fumava più di un pacchetto di sigarette al giorno.
Non aveva particolari interessi, non gli piacevano né i monumenti del posto né gli scorci storici; odiava la lingua del luogo, non era interessato a partecipare a eventi o al fare conoscenze.
Nonostante avesse uno stipendio da fame, Salvatore vestiva un abbigliamento ricercato che non mancava di esibire ai soci proprietari del locale nello spudorato tentativo di ottenere le loro attenzioni.
Continuava a ripetere che voleva diventare ricco.

martedì 14 febbraio 2012

Dadà



Danila


Lisboa 2005

Era la prima volta che mettevo piede in Portogallo, questa terra da molti identificata come un semplice pezzo appartenente alla Spagna, ma che con essa non ha proprio niente a che vedere: altra lingua, altre usanze, altri tratti somatici, altro clima, altra bellezza insomma.
La mia amica italo-americana, in uno dei nostri fine settimana liberi dallo studio, si dedica ai racconti di storia in giro per la città.
E a ogni racconto era una foto precisa. 
E a ogni foto si delineavano anni di lotte, anni di segni del tempo.
Poi quel “trenino” ci ha portati fino alla collina di Bairro Alto, luogo di perdizione
e all' epoca ancora ritrovo caratteristico della vera gente di strada, quella giusta insomma,
che vive la vita così come è giusto che sia.
Ad ogni passo entriamo in un bar o in una tasca...
Ore 15.00 primo bicchiere di birra. Mi chiedono 75 centesimi di euro, ci dev'essere un errore.
Così come deve essere un piacevole “errore” della natura questo ragazzone moreno
che mi sta servendo da bere: metà argentino metà egiziano, salta al di là del bancone e
mi stringe per cominciare le danze su quelle sensuali note latino americane.
Forse è la birra? Impossibile, è solo la prima.
Ore 15,40. Siamo già agli Orgasmi, quelli di Baileys + Cointreau però.
Poi ancora birra, panachè, Super Bock Green...
Ore 17.00. Siamo nella zona più bella di Lisbona, là dove batte più sole, dove si estende la vista sul fiume e tutto sembra piccolo: la gente ride, suona e si gode l'aria fresca sotto lo sguardo severo di Adamastor.
Lui sì che ne ha vista di storia, di storie, d'incontri; lo stesso intreccio di civiltà che mi ha avvinghiato qualche ora prima, e che tornerò a cercare due anni dopo, dove Lisbona ha un altro sapore, un po' più amaro, un po' più turista e famoso, un po' più luminoso, un po' più mio.

lunedì 13 febbraio 2012

Ordinò un Martini.



Parigi 2005

I bistrot parigini mi sono sempre piaciuti, soprattutto d’estate, all’ aperto, quando sorseggiare un caffè al tavolino di bambù può trasformarti a piacimento in un artista, un marinaio, un signore baffuto del posto.

Anche il lavoro non era male: l’atmosfera elegante, pacata, mai banale.
Una delle nostre più assidue clienti era una donna poco più che trentenne con carnagione mulatta, grandi labbra dal rossetto acceso e semplici vestiti.
Sebbene preferisse essere sempre servita al tavolo, quella volta si avvicinò al bancone: era solare, mi strinse la mano e si presentò.
Si chiamava Francine e ordinò un Martini.
La donna chiese perché ero a Parigi, domandò della mia famiglia, mi invitò a sentirla cantare nel suo locale la sera successiva.
Detto ciò, le si accostò un distinto signore sulla cinquantina con un enorme porro sulla guancia: la salutò, le chiese se voleva prendere da bere al tavolo con lui.
Francine declinò l’invito con un sorriso.
La donna cominciò a parlare di sé, della sua casa, della sua musica, di alcune sue amiche, finché fu interrotta da un giovane al quale non rispose neppure.
«Parli molto di te – dissi – ma non parli mai di uomini, eppure hai molti spasimanti!»
«Oggi voglio solo rilassarmi – rispose – e poi, loro hanno paura».
«Hanno paura?»
«Sì – rispose – penso abbiano paura. Sai, sono quegli uomini che quando a letto dicono: “ti amo” , lo fanno per se stessi. A loro non importa davvero. Cercano soltanto di avere la stessa frase nelle orecchie. Capita spesso sai?! Talvolta anche a noi donne».

Giorni dopo rividi Francine davanti alla porta di casa sua. Alzai la mano ma non rispose al mio saluto.
Quando chiesi cosa stesse facendo mi risposero che cercava compagnia.

giovedì 9 febbraio 2012

Poldo.



 
Edimburgo 2005

I funghi allucinogeni, detti anche magic mushrooms, sono comuni in tutto il mondo con oltre duecento varietà.
Tali funghi, grazie all’acido lisergico contenuto, hanno la proprietà di favorire le cosiddette “esperienze mistiche” provocando: dilatazione delle pupille; stato di euforia; sensibilità cutanea; atteggiamento pacifico e contemplativo.
Una ricerca del 2011 della John Hopkins University ha dimostrato che l’uso occasionale di funghi psichedelici porta a duraturi miglioramenti della personalità, con un considerevole ampliamento dell’apertura mentale anche in età adulta.

In Scozia i magic mushrooms sono stati dichiarati illegali nell’estate del 2005.
Appresa la notizia ci recammo in un Pipe shop per comprare il mushroom kit, ovvero una piccola busta contenente semi di grano e un enorme siringone pieno di un liquido trasparente: le spore del fungo.
Iniettata la sostanza con un rituale magico composto da play station, birra scura e due chiacchere sul week-end, mettemmo il tutto in un recipiente dietro l’armadio.
Nel frattempo Matt trovò lavoro in un ristorante al porto, Alessio si lasciò con la ragazza, io presi l’influenza e la lavatrice espose allagando il soffitto del pub al piano di sotto.
Dopo due settimane crebbe il primo fungo: aveva un colore che dal grigio si scuriva al marrone. Era cicciottello. Lo chiamammo Poldo.
Nei giorni successivi al raccolto invitammo a cena alcuni amici spagnoli famosi per preparare ottime tortillas.
Servimmo anche i funghi, ma solo per contorno.