giovedì 22 novembre 2012

Foligno - Firenze, solo andata.



Firenze 2012

Il treno diretto A121 è una lurida bagnarola che scorrazza sui binari della tratta Foligno – Firenze.
Più simile a un cassonetto dei rifiuti che a un treno, il mezzo è obbligato a fermarsi in alcune sciagurate e anonime cittadine nell'area Valdarno.
Ogni mattina, centinaia di studenti, di precari, di incazzati, siedono assonnati nei vagoni cercando di trovare uno spazio dignitoso nel rituale tetris umano al quale i passeggeri più eclettici hanno risposto con inventiva: l'ing. Facchetti ha imparato a dormire in piedi, come i cavalli; la signora Giuliani si sdraia in alto, negli scompartimenti per le valigie; il Sig. Cassola, giornalaio di piazza Anselmi in Firenze, si lega al tetto del treno ogni mattina presso stazione di Bucine.
Nonostante i ritardi, i soprusi e gli innumerevoli litigi, tale microcosmo umano si è adattato, è riuscito nel tempo a trovare un proprio equilibrio a base di iniezioni mattutine di pazienza, moderato altruismo e indifferenza.
La tregua dei disgraziati fu rotta una mattina di novembre alla stazione di Figline Valdarno quando, sulla banchina della stazione, si presentò un vecchio barbone puzzolente e alcolizzato.
L'uomo, basso e grasso, salì lentamente sul convoglio borbottando qualcosa. Si stiracchiò, chiuse la patta dei pantaloni lerci e cercò di tastare il culo alla biondina davanti a sé. Poi cominciò ad aggirarsi incontrollato tra i vagoni chiedendo l'elemosina: una lattina di chinotto in mano e un cappello unto nell'altra, esibendo clamorosi peti ogni volta gli sciagurati passeggeri non gli allungassero qualche moneta.
Dopo quattro vagoni, il petomane entrò nella affollata carrozza 15 dove all'altra estremità del vagone scorse il controllore, un quarantenne di Caltanissetta alto e brizzolato da poco detentore della corona dei pesi medi interregionali.
I due si fissarono a lungo da lontano.
Il barbone si fermò di scatto e rapido come una faina raccolse le monete dal cappello per metterle in tasca. Il controllore timbrò con forza un biglietto, accennando un sadico sorriso. Poi si avvicinò al vecchio con lunghe falcate e disse: «Buongiorno! Lei ha il biglietto?»
Il barone non mosse un muscolo e, muto come un pesce, fissò l'avversario dritto negli occhi.
«Le ho chiesto se ha il biglietto!»  gridò il controllore avanzando qualche passo e fissando a sua volta il petomane.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il barbone portò il chinotto alla bocca, ne tracannò una buona metà e si lasciò andare a un rutto clamoroso in faccia al controllore.
Nel frattempo ci fu una brusca frenata del treno, talmente forte da far cadere una ventiquattrore dal ripiano in alto, proprio accanto a dove dormiva la signora Giuliani.
La borsa centrò in pieno la testa del barbone facendolo cadere steso a terra.
Una studentessa di infermieristica ne approfittò per schiacciargli vilmente la mano col tacco in acciaio.
«Ahi!Ahi!, che male!»  urlò il vecchio.
«Matalo ahora! Matalo ahora»  urlò un muratore colombiano.
In un attimo l'intero vagone si riversò sul petomane con calci, schiaffi e insulti.
Una pensionata gli tirava i capelli, un mutilato gli sputò in faccia mentre il Signor Alessi, che per prendere il treno si svegliava ogni mattina alle 3.45 del mattino, gli tirò un violento calcio al basso ventre.
Dopo un quarto d'ora di soprusi e violenze il capitano Giarelli, pensionato di marina, si mise in piedi su una poltrona, fece un respiro e urlò: «Buttatelo fuori bordo!»
Il barbone fu gettato con veemenza e disprezzo sulla banchina della stazione di Campo di Marte sotto scroscianti applausi dell'intero convoglio.
Quando il vecchio si rialzò, un bimbo, sorretto dal padre al finestrino, alzò con il dito medio e gridò: «Baffanculo stlonzo!»