martedì 14 febbraio 2012

Dadà



Danila


Lisboa 2005

Era la prima volta che mettevo piede in Portogallo, questa terra da molti identificata come un semplice pezzo appartenente alla Spagna, ma che con essa non ha proprio niente a che vedere: altra lingua, altre usanze, altri tratti somatici, altro clima, altra bellezza insomma.
La mia amica italo-americana, in uno dei nostri fine settimana liberi dallo studio, si dedica ai racconti di storia in giro per la città.
E a ogni racconto era una foto precisa. 
E a ogni foto si delineavano anni di lotte, anni di segni del tempo.
Poi quel “trenino” ci ha portati fino alla collina di Bairro Alto, luogo di perdizione
e all' epoca ancora ritrovo caratteristico della vera gente di strada, quella giusta insomma,
che vive la vita così come è giusto che sia.
Ad ogni passo entriamo in un bar o in una tasca...
Ore 15.00 primo bicchiere di birra. Mi chiedono 75 centesimi di euro, ci dev'essere un errore.
Così come deve essere un piacevole “errore” della natura questo ragazzone moreno
che mi sta servendo da bere: metà argentino metà egiziano, salta al di là del bancone e
mi stringe per cominciare le danze su quelle sensuali note latino americane.
Forse è la birra? Impossibile, è solo la prima.
Ore 15,40. Siamo già agli Orgasmi, quelli di Baileys + Cointreau però.
Poi ancora birra, panachè, Super Bock Green...
Ore 17.00. Siamo nella zona più bella di Lisbona, là dove batte più sole, dove si estende la vista sul fiume e tutto sembra piccolo: la gente ride, suona e si gode l'aria fresca sotto lo sguardo severo di Adamastor.
Lui sì che ne ha vista di storia, di storie, d'incontri; lo stesso intreccio di civiltà che mi ha avvinghiato qualche ora prima, e che tornerò a cercare due anni dopo, dove Lisbona ha un altro sapore, un po' più amaro, un po' più turista e famoso, un po' più luminoso, un po' più mio.

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