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mercoledì 23 maggio 2012
Kiss bar
Londra 2010
«Oggi ho fatto il doppio turno, sono contento di concedermi una birra e una lettura quando stacco dal lavoro. Alle 18.00 ho il coprifuoco! Quell' arpia di mia moglie non mi da tregua, eppure l' ho solo tradita due volte! Capirei se avessi una relazione stabile! Barista, tu hai moglie?»
«No signore, non sono sposato».
«Beh, forse in qualche modo mi puoi capire. Sì, conosco il tuo silenzio, è imbarazzo vero? Faccio sempre effetto quando sono vestito da ufficio, mi sta bene la giacca vero? L' ho comprata perché una nostra cliente è morta senza figli, ma gli altri parenti non conoscevano tutti i suoi conti in banca, capisci?
Si, lavoro in banca. È un bel lavoro vero? Sai ho un buono stipendio, ho la possibilità di progettare, di pagarmi tutti i miei vizietti sai! Lavorare in banca fa avere un certo fascino sulle persone: mi procura autorità, affidabilità, fiducia.
In realtà non me ne importa niente, non mi interessa il mio lauto stipendio o la mia figura sociale, quello che mi preme è maneggiare il denaro. È maneggiare denaro che dà il potere alle persone.
Senti, fanculo mia moglie! Stasera voglio divertirmi con qualche manza, conosci un posto qui vicino»?
«Sì signore, certo signore. C'è il Kiss bar a soli due isolati da qui. È proprio il posto che fa per lei».
«Grazie» - disse l'uomo ormai sulla porta.
«Hey ciao! Quando stacchi stasera? Andiamo a prendere una birra al Kiss bar?»
«No, stasera no. Da settimane è in programma una festa per soli gay».
martedì 28 febbraio 2012
Nano per finta.
Madrid 2010
Lavorare rinchiusi per ore nell’Ufficio Acquisti di una grande multinazionale è noioso, stressante, farcito di mostruose procedure burocratiche e invidie tra colleghi.
Nonostante ciò, tale microcosmo può essere mitigato dalla presenza di una curiosa realtà umana: frizzante, sperimentale e, nel nostro caso, calata nel mistero.
Gabriele era un ragazzo appena 21enne timido ma sorridente: quasi calvo, cicciottello, vestiva elegante ed era famoso per rubare i posacenere dell’azienda . Era alto 1 metro e 50: lo chiamavamo Carnera.
Deriso per l’accento provinciale e le vomitevoli barzellette, il nano di Jesi rappresentava il punto più basso dell’ufficio nella gerarchia umana.
Ciò che rese Gabriele misterioso e invidiato dai colleghi, furono le numerose donne che, per mesi, lo attesero in macchina davanti ai cancelli della ditta alla fine del turno di lavoro, spesso agitando un foulard.
Coloro che il nano chiamava: “amiche”, non avevano una specifica tipologia: signore eleganti, studentesse sportive, sconosciute straniere, la direttrice del reparto vendite.
Dopo mesi di ossessivi pedinamenti e deplorevoli telefonate anonime, alcuni dei suoi più frustrati colleghi, tra i quali Paolo “il bello” e Igor “il lupo”, giocarono la loro ultima carta chiamando Olga, nota troia del luogo, per organizzare un vile incontro con Carnera e carpirne i segreti. La donna e il nano fuggirono alle Baleari per 3 giorni.
Il mistero di Carnera fu svelato dopo l’annuale partita di calcetto tra l’Ufficio Acquisti e il Centralino quando, nelle docce, un fragoroso applauso distrusse per sempre l’autostima dei suoi ignobili rivali.
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