Londra 2002
Si chiamava Emy.
Portava occhiali spessi e le piaceva studiare, ma solo quello che voleva lei.
Aveva un carattere indipendente: nascondeva la sua timidezza dietro un sorriso contagioso.
Indossava magliette strette con gonne lunghe e colorate esibendo in casa enormi babbucce verdi a quadri; il caos della sua stanza era elegante.
Offriva spesso da bere e quando fumava parlava sussurrando.
Le piacevano i concerti, interminabili film francesi, le canzoni di un cantante folk irlandese.
Frequentava un corso di teatro e inventava le migliori scuse abbia mai sentito per ritardare il pagamento dell’affitto.
Le piaceva fare l’amore.
Si chiamava Emy.
Sara
Polonia 2012
Guidare in quella situazione è stata una delle sensazioni più strane che abbia mai provato. La neve era spessa lungo la strada che da Olsztyn mi avrebbe portato verso Varsavia. Intorno, solo alberi e silenzio. Mentre pensavo a cosa sarebbe cambiato durante e dopo questo viaggio, iniziò a nevicare. Per qualche minuto ho dovuto fermarmi ad ammirare la bellezza dello scenario in cui mi trovavo.
Il freddo mi ha poi richiamato all’attenzione, e ho ripreso a guidare malinconicamente pensando che le cose meravigliose durano troppo poco.
Glasgow 1999/2000
La notte del 31 dicembre è quel magico momento in cui un brindisi può rinnovare amicizie, sogni e speranze.
L’identità del veglione di capodanno è composta da molti fattori: avere i prezzi triplicati rispetto al normale; perdersi nelle montagne per cercare il ristorante ambito e semisconosciuto suggerito a tradimento da persone malfidate; offrire pietanze "esotiche" inventate il giorno prima davanti a un whiskey.
Preparammo tutto per il massacro.
Eravamo: 10 camerieri sottopagati, 2 cuochi cinesi, 2 baristi filippini, 1 deejay (noto omosessuale belga del luogo).
Il ristorante si chiamava “Bella Italia”.
20.00 - Entrano i primi 2 clienti completamente ubriachi.
20.05 - Entrano in massa come api assassine tutti gli altri tavoli prenotati.
20.20 - Il primo ordine in cucina scatena una colluttazione tra i cuochi.
20.40 - Gli antipasti al tavolo 3 non sono quelli ordinati.
21.15 - Il bagno diventa inagibile e viene chiuso.
21.25 - Entra un signore che cerca il bagno, vomita e si accascia.
21.26 - Entra un cane che fa pipì sull’uomo.
21.27 - I due escono insieme.
21.45 - Ignobili urla provenienti dalla cucina ammutoliscono la sala.
22.15 - Il deejay esce con un cliente per non tornare mai più.
22.30 - La ragazza del tavolo 5 fa sesso orale al compagno nella tromba delle scale.
22.45 - L’arrosto brucia, si passa al dolce.
23.00 - L’uomo col cane tenta di rientrare e viene cacciato.
23.20 - Uno dei baristi cede e sviene.
23.45 - Il cameriere spagnolo si licenzia e siede con gli amici al tavolo 7.
00.00 - Brindisi dei sopravvissuti.
00.20 - Le fiamme provenienti dalla cucina vengono domate dai pompieri.
00.30 - Il locale è chiuso. Buon anno.
Scozia 2003
Il Kintyre è una piccola penisola ad ovest della Scozia che guarda l’Irlanda da vicino.
Per raggiungere la spiaggia abbiamo attraversato vaste colline di torba graffiate da strade sterrate.
Arrivati alla costa, piccole piante dai fiori rosa coprivano gli enormi e frastagliati speroni di roccia.
Soffiava un vento gelido che pareva ululare nelle orecchie di chi era intento a osservare l’oceano: calmo, scuro, immenso.
Non c’erano né persone né animali, soltanto uno splendido tramonto da contemplare ma dal quale non imparare niente.
Quel posto era deserto, ma il viaggio per giungerci fu stupendo.
Barcellona 2007
Atterrammo a Barcellona una sera di luglio. Dopo mezz’ora sembravamo tre profughi: Beppe aveva la salivazione azzerata, io una strana aritmia cardiaca, Marco era quasi cieco.
Stremati ma felici per l’arrivo in Catalugna raggiungemmo l’appartamento di amici;
ad accoglierci una simpatica ragazza italo-colombiana di nome Noemì.
La casa era piccola ma molto colorata: il corridoio verde, il bagno blu, la camera da letto gialla.
Il salotto nel quale ci saremmo accampati quella sera aveva le pareti rosse, due divani, un grosso armadio dal quale proveniva una luce vermiglia e un odore piccante.
Unico, solo e indiscusso padrone della casa era un cane basso, grasso e marrone di nome Perro: tale creatura aveva l’alito agghiacciante, lo sguardo severo e il proprio centro del mondo nei due divani del soggiorno.
«Che bel cagnolino!» − disse Beppe.
Il nano marrone lo morse immediatamente.
La strategia per la settimana era questa: dormire a turno, due sui rispettivi divani, l’altro a terra.
All’una circa spegnemmo la luce.
Il sacco a pelo era caldo e lo zaino un morbido cuscino ma cominciai a sentire un orrendo fetore. Era Perro.
Mi alzai per allontanare la creatura che cominciò ad abbaiare. Marco si alzò, il cane gli morse una mano. Beppe si alzò, Perro gli starnutì in faccia.
Ci addormentammo tre ore dopo: noi in terra, il cane vigile sul divano.
Edimburgo 2006
Cercare lavoro come barista in una città del Regno Unito può essere un’esperienza davvero difficile.
Seppur, a mio parere, l’intera economia di quel paese si basi sulla vendita dell’alcool e dei suoi derivati, essere assunti in pub o locali notturni di una grande città può talvolta raggiunge i livelli dell’epica impresa.
Grassmarket Square è una frequentata piazza ai piedi del castello di Edimburgo.
Il sito, di forma lunga e rettangolare ospita un lussuoso albergo da un lato e oltre una decina tra pub e ristoranti sul lato opposto, terminando in King's Stable Road.
Munito di curriculum entro nel primo bar dove mi accoglie un ragazza bruttina con strani orecchini e un gran sorriso.
«Buongiorno! Cercate personale? Posso lasciare il mio curriculum?».
«Certo! − risponde la ragazza − Vuoi una birra?» .
«Si grazie, oggi fa caldo e ne ho proprio bisogno».
Salutata la giovane dai simpatici orecchini entro nel locale successivo.
«Buongiorno! Cercate una persona al bar? Posso lasciare il mio curriculum?».
«Certo caro! − risponde una signora dalle grandi tette − Sei stanco? Vuoi una birra?».
«Si grazie, oggi fa caldo e ne ho proprio bisogno».
Esco dal locale con andatura leggermente piegata su un fianco per entrare nel successivo dei 12 pub.
Trovai lavoro come facchino e non vidi mai King’s Stable Road.
Leeds 2009
Alcuni impiegano pagine e pagine per descrivere la pelle di un vecchio: “rugosa”, “solcata”, “marrone come cuoio”. La pelle del barbone in Cameron Street era la pelle di un barbone. Aveva le vesti di un barbone, le scarpe di un barbone, la barba di un barbone. Non puzzava, ma aveva una terrificante cataratta e il respiro sempre affannoso. Benché abbia vissuto in quella via per otto mesi non l’ho mai visto in altro luogo se non all’ingresso del supermercato all’angolo. Nessuno conosceva il suo nome.
Il mio principale mi raccontò che l’uomo vestito di stracci in Cameron Street era in realtà un ricco signore che venti anni or sono, alla perdita della moglie, impazzì e andò a vivere per strada. Ora, non so se credere alla storia, ma certo è un modo più romantico per difendersi dalla miseria che avvolgeva quella figura.
Una mattina, incuriosito, passai di fronte al barbone: «Ciao» − gli dissi imbarazzato, guardandolo negli occhi per un istante. Il barbone guardò prima a terra, poi si voltò, ostentando quello che era qualcosa a metà tra un ghigno e un sorriso.
Nei mesi successivi l’uomo, almeno nei miei confronti, non emise mai un fiato ma continuò a sorridermi ogni volta che entravo al supermercato. Non accettava né elemosine né cibo. Provai ad avvicinarlo: lentamente si girò e cominciò a camminare sorretto da una giannetta.
Quando il negozio di liquori in Cameron Street chiuse, nessuno lo vide mai più.
Edimburgo 2005
Ero barista presso un locale giù al porto. Birra scura, qualche shots ai festeggianti e tre martini al tavolo 6. Il tavolo 6 era una celebrità giù al porto. Tre splendide ragazze prendevano lì posto quasi ogni sera. Era il primo tavolino del locale visibile all’entrata e l’unico di fronte alla parete a specchi che dava sulla strada.
Il buttafuori del posto, di nome Billy, era un tipo massiccio, con dita grosse, capelli corti e neri e una enorme fossa tra gli incisivi superiori: particolare che lo faceva fischiare a singhiozzi quando parlava, ovvero quasi mai. Per mesi si è chiesto che mestiere facessero le tre signorine al tavolo 6.
Alle 22.00 circa entrò nel pub un ragazzo con i capelli rossi: si avvicinò al bancone guardandosi attorno, chiese una birra scura e cominciò affannosamente a cercare qualcosa nella grossa borsa che aveva con sé.
I clienti al tavolo 4 si erano trattenuti dopo una cena a base di pesce. Erano due uomini e due donne: una di loro portava un vestito tradizionale del suo paese africano giallo e blu a fiori e grossi orecchini in legno scuro; l’altra anch’essa enorme, era riuscita a infilarsi dentro a un tubino nero. Gli uomini erano entrambi evidentemente ubriachi.
«Un’altra birra per favore! − disse con accento irlandese il ragazzo − versala tra cinque minuti perché devo andare in bagno». Scese al piano sotterraneo lasciando l’impermeabile sulla sedia ma portando con se l’enorme borsa.
Una bottiglia di vino cadde dal tavolo 4 tra le urla delle due signore e l’ indifferenza dei loro compagni, attraendo l’attenzione di tutto il locale.
Uscii dal bar per pulire i cocci, parlare con le signore e capire se fosse tutto a posto.
«Siamo stati sbadati – afferma una delle donne – ci dispiace. Porti un’altra bottiglia!».
Ed io: «È sicura che vuole un’altra bottiglia signora?...».
«Zitto e portaci da bere!».
Billy entrò nel locale: «Tutto bene? C’è bisogno d’aiuto? State tutti bene?».
Dalle pinte di birra del tavolo 10 si alzò un voce: «Salute Superman!».
Billy si apprestò al bancone e chiese una birra. Aveva l’aria stanca. Mi raccontò che nel pomeriggio aveva smontato un’intera caldaia in Ferry Road dopo aver litigato per ore con l’amministratore del palazzo, restio a concedergli l’intera somma pattuita in precedenza.
Il ragazzo con l’impermeabile non era ancora tornato al bancone del bar. Decisi di controllare come stesse. Scesi le scale e bussai alla porta del bagno. «Tutto bene?» – domandai. Silenzio. «Heilà tutto a posto lì dentro?».
«Sì tutto bene grazie» − rispose seccato il ragazzo.
Di nuovo al bancone trovai ad aspettarmi Ben, un musicista haitiano di due metri, con lunghi rasta e il sorriso perennemente stampato in faccia, giunto per avere la sua paga. Ben aveva la strana usanza di portare ovunque andasse uno spinello acceso in bocca.
«Ben questo è un locale pubblico, non puoi entrare qui con una canna in bocca!». «Chiedo scusa amico, non lo sapevo, vado fuori a finire lo spinello, vuoi qualche tiro anche tu?».
«No, adesso no, grazie».
«Bene. Preparami i soldi della paga intanto. È stato un bello show ieri sera vero? Ti è piaciuto vero amico mio?! Sai, sto pensando di incidere un disco e presentarmi in posti di classe sai?! D'altronde devono accettarmi. La mia famiglia è imparentata con quella di Bob Marley, abbiamo la buona musica nel sangue noi. Bene, tu prepara i soldi. Quanti sono…20 sterline vero?».
«Sono 12 sterline Ben».
«D’accordo e se ti serve altro fammi pure sapere. Ok dude?».
«Va bene Ben».
Il gigante uscì dal locale salutando le signorine al tavolo 6.
Stappai una bottiglia di Chardonnay per le signore africane. L’atmosfera al tavolo era tesa: mentre i due uomini ubriachi, in stato “semi-comatoso” avevano il capo quasi riverso sul piatto, le due donne stavano additando l’una il compagno dell’altra. Non versai il vino nei bicchieri. Misi la bottiglia dalla parte del tavolo vicino al muro, accanto ai due inermi signori.
La situazione del locale, finora sotto controllo, degenerò nel giro di pochi istanti: giusto il tempo di voltarmi e il ragazzo dai capelli rossi risalì da quella che per mezz’ora era stata la sua cripta vomitando dentro la borsa rossa.
Fuori dal locale due poliziotti stavano caricando in macchina Ben. Aveva in tasca 100 grammi di hashish e della cocaina.
La discussione tra le due signore africane raggiunse l’apice.
“Vestito a fiori” lanciò un bicchiere in faccia a “Tubino nero” mancandola. “Tubino nero” afferrò la bottiglia sul tavolo cercando di colpire in faccia la rivale.
I due ippopotami si presero per i capelli trascinandosi scalze fuori dal pub. Una volta in strada, sotto gli occhi di Billy, cercarono di uccidersi l’un l’altra lanciandosi addosso dei sampietrini ammucchiati di fianco alla scritta “Lavori in corso”.
Le due si allontanarono sotto una fitta pioggia, i loro compagni dormivano beati al tavolo 4, il ragazzo dai capelli rossi era riverso a terra, le ragazze del tavolo 6 mostravano le cosce a Billy.
Mi licenziai due giorni dopo.