sabato 10 marzo 2012

Mi piaci perchè mi fai ridere.

Oslo 2011

Si era attaccata con le unghie e con i denti al primo posto di lavoro che aveva trovato. Ottenuta la posizione desiderata non si era seduta, ma immedesimata in quella figura, nel suo ruolo, nelle sue responsabilità. Lo sfarzo che di rilesso la avvolgeva era lusso accecante per gli invidiosi personaggi a lei vicini.
Nonostante ricercasse un linguaggio forbito da esibire ai sottoposti colleghi, non era una persona curiosa: la superficialità che esprimeva era usata come controllo, era la soglia oltre la quale si sentiva insidiata.
La sua vita rimbalzava tra le mura domestiche, il lavoro, e lo storico fidanzato con il quale era cresciuta: non un amante, non un complice, piuttosto un amico abituale.
Era concentrata mentre parlava con i clienti, rigida quando si intratteneva con i colleghi.
La sua risata non era spavalda, profonda, fragorosa, ma si perdeva in un volto che la rigettava come segno di stupida debolezza.
Non ricordo il suo nome.

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